Archivi annuali: 2017

Tradurre le lingue antiche

La traduzione da una lingua antica a una moderna ètraduzione lingue antiche un’operazione del tutto peculiare e solo in parte assimilabile alle altre tipologie di traduzione, per alcune specifiche ragioni.Per prima cosa occorre tenere presente che le lingue antiche sono testimoniate da una gamma di materiali diversi per genere e funzione: da documenti storici privi di qualsiasi intenzione artistica, sino a prodotti di prosa letteraria e poesia. Se certamente questo implica di prestare costante attenzione al tipo di testo che si deve tradurre, rispettandone la natura e le peculiarità di genere, un importante argomento vale indistintamente per tutti i casi in cui una lingua antica debba essere tradotta: la distanza cronologica che ci separa dall’epoca della composizione dei materiali, impone di compiere una delicata e accurata contestualizzazione dei testi. In altre parole, una valida traduzione di una “lingua morta” non può prescindere da una attenta “immersione” nel contesto in cui essa era “viva”. Questa operazione “storico-critica” non dovrebbe essere tuttavia confusa con l’utilizzo di vocaboli desueti della lingua di arrivo: al contrario, la comprensione del contesto originario di un documento dovrebbe rendere più agile e spontanea la sua resa nella lingua moderna.

Una seconda peculiarità della traduzione delle lingue antiche ha a che fare con l’ambito in cui essa è generalmente svolta: si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di contesti scolastici o scientifici, il cui scopo non risiede tanto nella comunicazione e nell’espressione di un contenuto, ma piuttosto nella mera restituzione o nell’interpretazione di uno scritto.

Per le lingue antiche più che per qualsiasi altra lingua, la traduzione ha spesso il valore e la funzione di “esercizio”, al punto tale che il termine specifico di “versione” è stato coniato per indicare la conversione di un testo antico in uno moderno. Lo svolgimento di una “versione” coincide solo con la primissima fase della ben più complessa operazione di traduzione del testo: spesso “ingessate” e linguisticamente non rifinite, le versioni si propongono come obiettivo la corretta comprensione del documento e non certo la sua resa ottimale e filologica. Ciò non vuol dire che lo svolgimento di una corretta versione sia un obiettivo scontato. A differenza di quanto accade con le lingue moderne, “padroneggiare” una lingua antica non significa possederne una competenza attiva e automatica; viceversa, l’archittetura sintattica di lingue come il greco e il latino impone di accostarsi ad esse con un metodo solido e un approccio analitico. La definizione di questo metodo varia sensibilmente a seconda del tipo di lingua e delle sue caratteristiche; ad ogni modo, almeno per gli studenti e per chi si accosta allo studio, è buona norma isolare per prima cosa le voci verbali e i rispettivi soggetti – vere e proprie “colonne” della proposizione –, e procedere con l’identificazione dei rapporti fra la frase principale e le frasi dipendenti. Rinunciare a un’analisi attenta e preliminare di tutto il periodo può pregiudicare, nel caso delle lingue antiche, la corretta traduzione del testo. A questo lavoro strutturale dovrebbe costantemente accompagnarsi un’accurata disamina di tipo lessicale. Gli “storici” dizionari a cui si affidano da sempre gli studenti del liceo, dal premiato Rocci al più recente Montanari, sono solo i più rudimentali, ma pur sempre validi, compagni di chiunque si accosti alla traduzione di un testo antico. Il loro utilizzo dovrebbe essere il più possibile equilibrato: da una parte, essi forniscono conferme e risposte indispensabili a chi sa formulare le giuste domande; dall’altra, essi non possono sostituirsi a un lavoro necessario di memorizzazione dei significati delle radici delle parole.

Il passaggio dalla “versione” alla “traduzione” non implica soltanto un lavoro di cesello inerente alla resa grammaticale e semantica di un testo, ma coinvolge soprattutto il piano della coscienza storica del documento in questione. Allo studioso sarà dunque necessario conoscere approfonditamente tutti quegli aspetti che giocano un ruolo fondamentale nella traduzione letteraria o settoriale di qualsiasi lingua: l’autore in questione, le circostanze di produzione del testo, il vocabolario tecnico relativo al genere. In aggiunta, al livello più alto, la traduzione di testi antichi deve tenere conto anche della storia della loro trasmissione, ovvero di quella lunga catena fatta di epoche, eventi, copisti e manoscritti, che ha letteralmente “trasportato” un documento antico sino a noi moderni.

si ringrazia la Dottoressa Celeste Valenti per il gentile contributo.

La traduzione in ambito pubblicitario

Per traduzione in ambito pubblicitariotraduzione pubblicitaria intendiamo la traduzione di campagne e testi pubblicitari. Il processo non è semplice perché non basta una buona traduzione per conservare l’efficacia comunicativa dei testi originali. È d’obbligo fare una premessa importante: nel marketing e nella pubblicità accade spesso che il contenuto del messaggio sia di importanza secondaria, l’obbiettivo del messaggio pubblicitario non è la trasmissione di un contenuto preciso, è un invito all’azione che in gergo viene chiamato “call to action”. La “call to action” si configura come un breve testo che ha funzione di spronare il lettore o l’ascoltatore a compiere una determinata azione. Spesso fanno leva sulle emozioni, sfruttano le paure diffuse oppure si focalizzano sui benefici, talvolta creano 1 contesto culturale nel quale i riceventi devono immedesimarsi.

Se dunque il messaggio pubblicitario viene tradotto in una lingua diversa, ciò significa che viene destinato ad un utente diverso, diverso per cultura, usanze, tradizioni, diverso perché si esprime in maniera diversa e perché vive in un contesto sociale peculiare. In questa cultura diversa dell’utente destinatario probabilmente quello che suscita emozioni di gioia, di rabbia, di tristezza sarà diverso, potrebbe essere diverso anche quello che quella determinata collettività riterrebbe un beneficio o un danno e molto probabilmente sarà diverso il contesto culturale nel quale questi ultimi potranno identificarsi.

Insomma avete capito, in ambito pubblicitario quello che ci interessa è traferire l’intento di un messaggio da una lingua all’altra e non il contenuto. Un intento che viene adattato in base alle sfumature culturali della lingua di destinazione. Questa operazione si chiama in gergo transcreazione (dall’inglese “transcreation” = translation + creation). Facciamo un esempio molto semplice: durante gli europei di calcio, le emittenti radiotelevisive delle nazioni che partecipano al grande torneo mandano in onda numerosi spot pubblicitari a sfondo “calcistico”, si vedono i giocatori che giocano a pallone, gente per strada che sfodera bandiere e indossa le magliette della nazionale, si leggono messaggi pubblicitari che rimandano alla vittoria, alla superiorità (il messaggio subliminale intrinseco è in sostanza “se acquisti questo prodotto ti sentirai un vincitore così come vincitrice è, o sarà, la nostra squadra di calcio”). Avrebbe senso se la RAI trasmettesse una pubblicità di questo tipo a gennaio dell’anno prossimo, quando gli europei saranno finiti da ormai molti mesi? Oppure, avrebbe senso trasmettere questa stessa pubblicità in un paese che non partecipa agli europei di calcio perché è un paese asiatico, come per esempio l’India dove inoltre il calcio è uno sport poco seguito? La risposta è ovviamente no perché lo scopo di far leva sulle emozioni e di creare un effetto di immedesimazione verrebbe meno.

Ora, noi non ci occupiamo di immagini ma di parole, torniamo ad affrontare il nostro lavoro di trascreazione. La transcreazione è una traduzione creativa, che non deve avere paura di discostarsi notevolmente dal testo originale nella sua forma. Ricordate che il messaggio pubblicitario spinto a forza tra le maglie di una lingua che non gli appartiene, svela al destinatario tanto la pigrizia del mittente, quanto il “trucco” psicologico che si cela dietro ad ogni slogan. Dando vita ad un effetto imbarazzante che ricorda tanto quello del prestigiatore colto in flagrante a sfilarsi l’asso dalla manica. Il “transcreatore” bravo deve essere in grado di dare vita ad un testo nuovo che susciti le medesime sensazioni nei nuovi destinatari. La profonda conoscenza del contesto culturale attuale di quel paese è pertanto d’obbligo. Il mio consiglio è pertanto quello di affidare l’operazione di traduzione-creazione ad un professionista che non solo è madrelingua nella lingua di destinazione ma che abiti in quello stesso paese, che sia dunque completamente inserito in quel contesto culturale e quindi in grado di comprenderne tutte le sfaccettature e di seguirne la sua continua evoluzione.

La traduzione giuridica

La Traduzione giuridica merita un discorso approfondito in quantotraduzione giuridica

all’interno di questa categoria si trovano vari generi e tipologie testuali (contratti, contenziosi, adempimenti societari, corporate governance, etc.).
La Traduzione giuridica è a tutti gli effetti una traduzione tecnica. Il traduttore tecnico deve generalmente conoscere e applicare le equivalenze terminologiche: il termine x nella lingua A deve corrispondere ad 1 e 1 solo termine nella lingua B (onde evitare qualsiasi fonte di confusione poiché il testo tecnico, per sua natura, deve essere il più preciso possibile).
Tuttavia la peculiarità del testo giuridico è che pur essendo un testo tecnico, non sempre è possibile trovare delle equivalenze in un’altra lingua.
Nel mondo esistono diversi sistemi giuridici, i 2 principali sono il common law (sistemi anglosassoni) e il civil law (sistemi in vigore nei paesi dell’Europa Continentale). Pertanto, quando traduco un testo giuridico dall’italiano all’inglese per un cliente britannico, devo verificare se il concetto giuridico espresso nel testo di origine, che nel nostro esempio segue la legislazione italiana, sia uguale o meno nella sistema giuridico britannico.
Facciamo un esempio pratico: In Italia, il Signor Rossi è proprietario di un terreno quindi può vantare su questo terreno il cosiddetto “diritto di proprietà”: quel terreno è suo a tutti gli effetti e può, volendo, concederlo in locazione a chiunque desideri. In Inghilterra nessuno può vantare un vero diritto di proprietà su un terreno perché tutta la terra appartiene alla corona, quindi se il nostro Signor Rossi abitasse in Inghilterra sarebbe non il proprietario di quel pezzo di terra ma un “tenant”, ovvero il soggetto che ha il diritto di “tenerla” per tutta la durata del suo “estate”. Possiamo quindi affermare che la ricerca di testi paralleli è di fondamentale importanza ma è altresì indispensabile ricordarsi di contestualizzare termini e situazioni poiché in molti casi il traduttore giuridico si trova a dovere effettuare un vero e proprio lavoro di diritto comparato. Questo significa che il traduttore viene investito di una grande responsabilità: quella di scegliere se inventare dei neologismi appositi oppure adottare convenzioni esistenti, in quest’ottica può essere utile che la traduzione venga revisionata da un giurista.
Se devo far tradurre un testo giuridico italiano in inglese, è preferibile affidare il lavoro di traduzione ad un traduttore di madrelingua italiana oppure ad un traduttore inglese? Generalmente la scelta ricade sul traduttore la cui lingua madre sia la lingua di destinazione della traduzione. La traduzione del testo giuridico anche in questo caso fa eccezione e richiede una riflessione di tipo diverso. Il testo giuridico italiano risulta di comprensione difficile anche al lettore italiano medio sia per le scelte lessicali adoperate sia per la tipica struttura morfosintattica come l’enclisi del -si con l’infinito retto da verbo modale, l’uso della formula implicita in sostituzione della corrispondente formula esplicita, l’uso ”smodato” del participio, l’aggettivo in sostituzione di relativa e sostantivo deaggettivale in sostituzione di oggettiva o interrogativa indiretta, l’uso di sigle ed abbreviazioni, anteposizioni che costituiscono un’eccezione all’ordine normale delle parole (anteposizione del verbo al soggetto in frase principale, anteposizione del soggetto al verbo in frase gerundiva, anteposizione dell’aggettivo al nome, anteposizione del complemento d’agente all’argomento del verbo in frase subordinata implicita); l’uso dell’imperfetto narrativo e infine il ricorso alla nominalizzazione.
Il linguaggio giuridico anglosassone invece risulta molto più snello: certamente viene utilizzato un registro più elevato rispetto a quello dell’inglese standard e presenta anch’essa numerosi tecnicismi ma, a differenza del testo giuridico italiano, predilige la costruzione paratattica e evita le nostre “continue ripetizioni”. Alla luce di queste considerazioni, è preferibile affidare la nostra traduzione ad un traduttore di madrelingua italiana che sarà in grado di capire meglio il testo di partenza e ricorrere successivamente al madrelingua inglese per il lavoro di revisione.